GITA AD ASSISI
L. Tomaiuolo
Dalla Voce della Vallesina del 18 Giugno 2019.
IL CIRCOLO ‘CONTARDO FERRINI’ IN VISITA AD ASSISI. CAPOLAVORI D’ARTE E MEMORIE DI SPIRITUALITÀ
La gioiosa, consapevole, santa follia di S. Francesco
Quando la vocazione di S. Francesco si manifestò, la sua rinuncia a qualsiasi bene materiale apparve a tutti una follia. Francesco avrebbe potuto avere tanto e invece si spogliava anche dell’essenziale. A una simile paradossale scelta di vita si è cercato di dare più di una spiegazione. Si è ipotizzato che a giustificarla fossero state esperienze traumatizzanti vissute combattendo contro i perugini o, catturato da questi, in prigione; o che a causarla fosse stata una crisi sopravvenuta a seguito di una grave malattia, o il disgusto per la vanità di una vita spensierata condotta nella prima giovinezza. Vero è che la decisione non fu improvvisa. Francesco la prese quando si rese conto che nemmeno onore e gloria avrebbero potuto appagarlo; quando, partecipando ad una spedizione condotta in Puglia, a nome del papa Innocenzo III, da Gualtieri di Brienne, si fermò a Spoleto e, comprendendo che il suo vero desiderio era servire Dio, non gli uomini, ritornò ad Assisi per rendere palese la sua decisione. La verità è però da ricercare soprattutto in quella confessione d’amore quale è il ‘Cantico del Sole’ o ‘delle Creature’, effusione di un rapimento estatico di fronte al miracolo della vita che in tutto si manifesta; una visione gioiosa dell’armonia dell’universo che riconduce direttamente a Dio. E certamente fu la sua terra, l’incantevole Umbria, ad ispirare questo innamoramento che superava la ragione.
Sulle orme di S. Francesco
Anche quanto avvenne subito dopo la morte di S. Francesco sembra avere del miracoloso. Se straordinario può già dirsi il fatto che il Poverello avesse trovato seguaci disposti a condividere con lui una vita di estrema rinuncia, con la sua morte la sua santità apparve palese e generò un culto inestinguibile. Eletto per il suo amore per il Creato patrono di una terra benedetta da Dio quale è l’Italia, per lo stesso motivo S. Francesco è oggi ammirato anche da chi appartiene ad altre religioni e persino dai non credenti. Non è ingiustificato per questo ritenere che S. Francesco continui a vivere nella vita e nella storia dell’umanità.
Sono trascorsi secoli, ma in Assisi, che pure ha dovuto affrontare guerre, terremoti e cataclismi, i segni della spiritualità francescana non si sono cancellati. Li si ritrova nelle innumerevoli chiese, veri scrigni di tesori d’arte; nel paesaggio intorno che ancora conserva una sua dolce bellezza; nelle vie degli antichi rioni, nelle case di pietra grezza, nei balconi ornati di fiori e di piante rampicanti; nel clima stesso che si respira nella città animata, ma non sconvolta da un turismo di massa. È in una giornata di primavera inoltrata, il 10 giugno, che la raggiunge un folto gruppo di jesini appartenenti al Circolo Culturale ‘Contardo Ferrini’.
Quasi tutti avevano già visitato Assisi, ma vi ritornavano volentieri per conoscere e riconoscere, scoprire, riscoprire e ammirare ancora. La visita, accuratamente organizzata da un esperto socio, Aldo Luigi Tomaiuolo prevedeva soste in alcuni dei luoghi sacri più importanti della città.
Ad essere visitata è innanzi tutto la Basilica di Santa Chiara. Già chiesa di S. Giorgio, fu frequentata dal piccolo Francesco che qui ricevette le sua prima istruzione religiosa. Conservò fino al 1230 il corpo del Santo, poi traslato nella basilica a lui intitolata. Squisitamente elegante è la facciata ornata da fasce di pietre del Subasio bianche e rosa. All’interno, alcune opere preziose. Episodi della vita di S. Chiara e di sua sorella Agnese, che volle come lei consacrarsi, sono raffigurati in otto tavole attribuite a Cimabue che circondano una immagine della Santa, ieratica, ma già priva di una astratta fissità. Si sosta con commozione di fronte al Crocifisso di S. Damiano che parlò a S. Francesco per indicargli la sua missione: ‘Va’, Francesco, restaura la mia casa che, come vedi, è in rovina’.
La tappa successiva è la Basilica di S. Francesco, eretta due soli anni dopo la morte del Poverello e in soli due anni interamente costruita. Potrebbe essere ritenuto, anche questo, un miracolo della fede. La impreziosiscono opere dei più grandi pittori appartenenti alla scuola fiorentina e senese. Pietro Lorenzetti è riconoscibile nella essenziale, eterea eppure drammatica purezza stilistica di una Crocifissione e di una Deposizione; Cimabue,
nella solenne compostezza di una ‘Vergine in trono’ circondata da angeli e, a fianco, nel verismo ‘ante litteram’ di un ritratto di S. Francesco; Giotto nella impostazione tridimensionale delle scene, nella trasparenza dei colori, nella idealizzazione dei paesaggi e delle strutture architettoniche come pure nell’accuratezza dei dettagli. A questi grandi pittori e ai loro collaboratori altri si aggiunsero per rendere omaggio con la loro arte al Poverello di Assisi: Simone Martini, Jacopo Turriti, Pietro Cavallini, Filippo Rusuti e un incerto ‘Maestro di S. Francesco’ che rappresentò con originale naïveté la ‘Predica agli uccelli’. Nella Chiesa Superiore si rimane in pensoso raccoglimento: sono ancora visibili nell’abside le ferite lasciate dal sisma.
Visita libera nel primo pomeriggio alla Basilica di S. Maria degli Angeli. La chiesa, risalente alla seconda metà del ‘500, venne quasi interamente distrutta da un terremoto nel 1842, ma fu subito restaurata. Racchiude la Porziuncola, modestissima costruzione in pietra ricevuta in affitto dai Benedettini, dietro simbolico compenso annuale di un cesto di pesce, da S. Francesco e dai suoi primi seguaci che vi restarono per tre anni. Accanto è la Cappella del Transito, costruita là dove fu deposto sulla nuda terra S. Francesco morente. Superata la Sagrestia si passa in un corridoio che affianca un porticato. Qui, altre toccanti memorie. In un angolo è collocata una statua di S. Francesco che, con gli occhi rivolti al cielo, regge in mano il nido di una coppia di colombi. La presenza dei visitatori non li spaventa: lei continua tranquillamente a covare; lui fa da sentinella dall’alto di una breve cornice aggettante. Impossibile immaginare come e quando siano giunti lì per nidificare e vi siamo rimasti, generazione dopo generazione, chissà da quanti anni. Nel giardino interno del chiostro è visibile, dietro una vetrata, il ‘Roseto’. Vi fioriscono a primavera rose di una specie unica, con foglie e petali screziati di rosso porpora. Secondo tradizione persero le spine per non ferire S. Francesco in penitenza. Lungo il chiostro c’è ancora altro da ammirare: una serie di tavole ad olio di un pittore contemporaneo, Aurelio Bruni, che rappresentano a colori vividi e palpitanti scene della vita di S. Chiara; poi un’erboristeria, un museo... Dispiace non sostare più a lungo, ma occorre riprendere il cammino. L’ultima meta è la Chiesa di S. Maria di Rivotorto che include due anguste casupole in pietra separate da una piccola cappella. Qui S. Francesco con undici suoi fratelli trascorse tre anni in eroica santità ‘nell’indigenza di tutto, tra molti stenti, spessissimo privi anche del pane’. In una delle celle, dove è quasi impossibile anche soltanto stare in piedi, troviamo un gruppo di giovani romani accoccolati a terra, assorti in raccoglimento. Chi vive nel caos di una grande città deve certo sentire quanto mai vivo il desiderio di silenzio e di pace.
Prima di uscire per riprendere la via verso casa i pellegrini di Jesi sostano ancora qualche attimo per rivolgere insieme una preghiera e un canto al santo Poverello. A quelle di ognuno è aggiunta un’intenzione comune: che la missione di S. Francesco si rinnovi, affinché il nostro Paese, e con l’Italia anche tutto il mondo vengano restaurati dall’amore e recuperati alla vita.
Testo e foto Augusta Franco Cardinali
Nella prima foto il gruppo degli escursionisti di fronte alla Basilica di Santa Chiara; nella seconda un
episodio della vita di santa Chiara (Olio su tavola di Aurelio Bruni), chiesa di Santa Maria degli Angeli